La scrittura consapevole di Julia McCutchen


Se vogliamo creare arte, 
dobbiamo cucire insieme il mondo interiore e il mondo esteriore.
(Robert Bly)

Alla fine dell’estate i blogger scrivono la dichiarazione d’intenti per la stagione che sta per arrivare. Io stessa, negli anni passati, ho sempre rispettato questa convenzione. Stavolta però non mi sento in grado di dare anticipazioni precise sul calendario editoriale. Di certo Appunti a Margine continuerà a sfornare post almeno una volta alla settimana ma, ora che sono in part-time, il numero potrebbe aumentare. Quella del giovedì sarà per il momento una scadenza puramente indicativa. Se l’ispirazione giungerà al mercoledì o al venerdì, la seguirò senza remore. Se vorrò pubblicare due post nella stessa settimana non mi tirerò indietro. Se gli impegni di lavoro mi chiederanno di saltare un appuntamento, idem.
Per quanto riguarda la gestione dei contenuti, mi concederò la medesima libertà di improvvisazione. Sicuramente porterò avanti i progetti del Jolly e l’iniziativa #imieiprimipensieri, ma tra tutte le idee che mi saltano in testa l’unica che mi sento di anticipare con certezza è quella cui sto dedicando il presente post.
Per parlarne con chiarezza, però, è necessario fare un passo indietro.

DISTACCO
È da mesi che non mi rivedo più nella visione della scrittura veicolata dalla maggior parte dei blog e dei manuali. Il messaggio che trovo è a mio avviso fuorviante. La scrittura viene ridotta a un insieme di regole, di norme, di precetti che tagliano fuori la creatività individuale e riducono tutto a un mero esercizio mentale. Gironzolando per il web, la domanda che trovo più spesso è: “Come organizzi il tuo lavoro?” e non: “Qual è il messaggio che intendi trasmettere?”.  Si danno consigli su come scrivere un best-seller, e non su come offrire ai lettori delle risorse significative per le loro vite. Si parla di progettazione come se fosse la linfa vitale che nutre l’opera, ma esistono tanti romanzi nati di getto e poi revisionati, canzoni composte in un quarto d’ora: perché trascurare un dettaglio così significativo? Perché mettere in secondo piano l’estro, la creatività e il fuoco interiore che nutre la creazione artistica?
Secondo me il grande errore dei presunti guru è pensare che le teste e i cuori siano tutti uguali. Se io pianificassi un romanzo intero e lo suddividessi in capitoli prima ancora di sedermi al pc, rischierei di non buttare giù nemmeno una riga. Le mie idee sono scintille che prendono forma solo davanti al taccuino o alla tastiera, perché è la scrittura che le anima, non il mio pensiero. Anzi: la mia scrittura nasce proprio dall’assenza di pensiero, da una connessione totalizzante le mie emozioni.
Negli ultimi mesi, ogni volta che navigavo in internet e mi imbattevo in quesiti acchiappa-click (conta più la trama o lo stile?) o nei soliti argomenti triti e ritriti che io stessa nella mia fase razionale e paranoica ho affrontato mille volte, scuotevo la testa perplessa. E che palle, il punto di vista: se vogliamo essere dei professionisti, se vogliamo distinguerci dalla massa di scribacchini che ingrossano le file del self-publishing, dobbiamo trascendere schemi e regolette e ritrovare contatto con la nostra voce più intima.
Già, la voce.
Ciascuno di noi ne ha una: dove l’abbiamo nascosta?
Ma soprattutto: come facciamo a tirare fuori la sua natura più autentica?
Mi sono posta questa domanda tante volte. I manuali non mi hanno mai risposto. Nemmeno i blog. Ho provato a farlo da sola, qui su Appunti a Margine, ma sempre con il freno a mano tirato. Essere controcorrente mi ha sempre un po’ spaventato. Chi mi dice che le mie intuizioni sono valide? E, in una società così mentale, chi è davvero in grado di accogliere razionalmente concetti così complessi come missione esistenziale, voce interiore, ispirazione, intuizione? Mi sentivo un ufo e avevo paura di non essere compresa. In effetti, qualcuno mi ha criticato, e ho provato la stessa sensazione di essere un pesce fuor d’acqua vissuta nel mio ufficio, e in tutti i contesti in cui la ragione domina sul sentimento.
Forse è anche per questo motivo che, negli ultimi anni, la mia scrittura è andata avanti un po’ a rilento: mi appoggiavo a risposte che non mi appartenevano, credendo più all’autorità degli altri che a quella del mio cuore. Perché riuscissi a tirarmi fuori dall’impasse, doveva succedere qualcosa. Ed è successo.

SINCRONIE
Alcune situazioni si verificano con un tempismo così perfetto che non si riesce a credere al caso. È come se l’anima le avesse chiamate a sé con i propri quesiti e i propri pensieri ricorrenti. È come se le energie dell’universo avessero cospirato per portare a un cuore bloccato le risposte che gli servivano per ripartire. E, se ripenso alla serata del 13 agosto, non posso fare a meno di rafforzare la mia convinzione.
Quando sono entrata alla Mondadori di Sanremo non stavo cercando nulla di particolare. O forse sì, ma a livello conscio non lo sapevo. Girovagavo tra gli scaffali con aria annoiata, leggendo la quarta di copertina e aspettando che il buon Beppe facesse la propria scelta. Ed è in questo stato di cazzeggio consumista che mi sono imbattuta in un libro destinato a infondermi un nuovo coraggio. Eccolo qui:


L’ho comprato senza indugio. Era lui che mi cercava, non io. E io non ho fatto altro che assecondare il suo richiamo. Già dopo aver letto le prime pagine, il progetto del nuovo romanzo ha subito un’accelerata, e ora procede a gonfie vele. La scadenza del 31 dicembre sarà rispettata, me lo sento.

QUELLO CHE HO SEMPRE SAPUTO
Questo manualetto è stato scritto da una editor che per anni si ha lavorato in una casa editrice specializzata in testi spirituali. È inoltre autrice di numerosi libri e docente di scrittura creativa.
Anzi: scrittura consapevole.
Questo concetto mi piace moltissimo. Riesce a integrare le tecniche narrative con i principi della filosofia olistica.  Avrei desiderato coniarlo io. Anzi: l’ho fatto. In fondo, negli ultimi tre anni, scrivendo e cancellando riflettendo e rimuginando, sono arrivata alle medesime conclusioni di Julia McCutchen.
Le mie idee, però, non erano formalizzate. Si trattava di pensieri nebulosi che servivano da supporto alla mia attività creativa, ma avevano bisogno di un indirizzo concreto per essere accettati dalla mente. È stato entusiasmante quindi vederli lì, tutti insieme, uno in fila all’altro. Nonostante l’esiguità della mia produzione da scrittrice, sono pur sempre un editor, e dicono anche brava. Ho sufficiente esperienza per tirare fuori dal cilindro soluzioni sensate che possano restituire alla scrittura la propria dignità creativa, con buona pace di chi riduce l’arte a un esercizio del cervello o, peggio ancora, a una strategia di marketing.

Come ho sempre ribadito nei miei post e come questo libro conferma, seguire l’ispirazione non significa rinunciare alla tecnica, o alla revisione, o alla continuità. Al contrario, lo Zen è disciplinatissimo.

Il succo del discorso, secondo me, è questo:

Con la s. c., attiviamo le abilità esteriori della scrittura, per dar forma alle nostre idee e alle intuizioni ed esprimerle con un linguaggio che ci consenta di comunicare l’essenza intangibile in modo tangibile. (p.17)

Sì, lo so. Letto così, questo trafiletto può sembrare complicatissimo. Userò parole più semplici: le tecniche tradizionali sono importantissime, ma esse non devono soffocare il nostro io scrittorio, bensì rafforzarlo, affinché la nostra voce possa risuonare chiara e autorevole. La mente può sostenerci ed essere di supporto, ma solo se impediamo all’ego di distoglierci dal nostro scopo.

Di questo saggio mi è piaciuto soprattutto l’invito a liberarci da quelle sovrastrutture che vogliono ricondurre il processo della scrittura a regole universali, senza tener conto delle differenze individuali:

[…] una delle abilità più importanti da sviluppare è la scrittura consapevole, ossia la capacità di prendere una decisione o di compiere una scelta con piena consapevolezza, invece di agire in base a quei riflessi condizionati che dominano il mondo contemporaneo. (p.16)

Quindi, dobbiamo mantenerci aperti a ogni possibilità, smettere di cercare conferme del nostro valore e andare avanti per la nostra strada, con dignità e con lo sguardo sempre rivolto verso l’alto, perché:

La scrittura consapevole ci consente di scoprire la nostra vera voce e di scrivere ciò che siamo chiamati a esprimere. La nostra vera voce sorge naturalmente quando siamo connessi con il nostro vero io; quando lasciamo andare le paure; quando  realizziamo il nostro vero scopo e ci impegniamo a vivere la nostra verità nel mondo, nella scrittura e in ogni ambito della vita. (p.19)

LA SCRITTURA CONSAPEVOLE SU “APPUNTI A MARGINE”
Mi rendo conto che certi argomenti possono essere ostici, ma dovete stare tranquilli: non voglio vedervi tutti seduti con le gambe incrociate, a fare ohmmm prima di ogni sessione di scrittura. Lascerò perdere, almeno per il momento, questo tipo di tecniche: nel prossimo inverno mi limiterò a illustrarvi i sette principi alla base della scrittura consapevole e a proporvi degli esercizi di scrittura che potrebbero esservi utili. Ho intenzione di dedicare a questo argomento circa un post al mese, alternandolo con altre tematiche come avevo fatto a suo tempo con i segnizodiacali, quindi ne avremo più o meno fino all’inizio della primavera. Dopo di che, deciderò come proseguire.
I sette pilastri non saranno presentati in quest’ordine, ma ve li anticipo seguendo il manuale:

- presenza;
- allineamento;
- autenticità;
- equilibrio;
- semplicità;
- intuizione;
- connessione.

Queste tematiche per la maggior parte di voi non saranno una novità: almeno a tre su sette elementi ho dedicato un post nei mesi e negli anni passati, e agli altri quattro ho accennato di straforo mentre affrontavo argomenti correlati. Quindi, andrò a ripescare i vecchi articoli e li arricchirò di nuovi dettagli, evitando così di ripetermi. Sarà bello dar loro un taglio un po’ più professionale e profondo.
Voglio anche tranquillizzare Riccardo Giannini, e gli altri lettori di Appunti a Margine che non amano dilettarsi con la scrittura: siccome questi principi nascono nel mondo dello zen, potranno essere utili a tutti, e in ogni settore della vita. Del resto, se così non fosse, non si parlerebbe di olismo.

Prima di concludere, due domande: trovate chiara la spiegazione di cosa sia la scrittura consapevole? Nel prossimo post posso passare direttamente al primo dei sette pilastri, oppure preferite un’introduzione più approfondita? Scrivo per voi, quindi non esitate a dirmi il vostro parere.

E poi: Quale tra i sette pilastri interessa maggiormente la vostra scrittura e la vostra vita? Quale è già vostro? Quale vi manca?  

Commenti

  1. Il sottotitolo chiarisce il dubbio che questo libro sia l'ennesimo testo sulle regole di scrittura creativa. Invece è qualcosa di nuovo che potrebbe incuriosirmi. Seguirò ogni tappa alla scoperta della scrittura consapevole: trovare la mia voce, connettermi con il mio io sono bei traguardi, anche al di là dell'applicazione pratica su carta. Penso che davvero ci siano cose che vengono a cercarci, in certi momenti della vita, perché il nostro desiderio di trovarle è talmente forte da smuovere energie positive. Mi è capitato proprio con riguardo alla storia cui mi sto dedicando in questo periodo. Dei sette pilastri mi attirano semplicità ed equilibrio. Mi preparo per la nuova avventura.

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    1. A me è piaciuto perché non pretende di fornire ricette per scrivere un best-seller di successo, ma pone l'accento sul piano esistenziale. Io con il tempo mi sono convinta che la scrittura sia un processo, non una performance, e che solo la scrittura di getto può essere considerata scrittura creativa. Poi si revisiona e si affina, per carità, ma pensare non significa creare, gli ingegneri non creano. :)

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    2. Ti leggo da un po' e attendo con interesse i prossimi post sull'argomento "Scrittura Consapevole" ho scaricato l'estratto del libro e nel frattempo sei stata nominata per un Liebster Award, puoi ignorarlo, ma non potevo ignorare il tuo blog! Passa a ritirarlo qui http://www.megalis.it/liebster-award/#.WbmOJ8hJaM8

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    3. Per il prossimo post, ti ho già accontentato. :)
      Per il Liebster ti ringrazio. Vado subito a vedere.

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  2. Per me si può partire, sarò felice di fare gli esercizi, anche se in questo momento la mia scrittura è un po' bloccata, anzi chissà mai che diventi un appuntamento utile per uscire da questo torpore.
    Grazie e buon settembre!

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    1. Sì, probabilmente ti aiuteranno. Per sbloccarsi, non c'è niente di meglio di una scrittura priva di aspettative. :)

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  3. Sai che seguo come "esterna" ;) sono curiosa di capire meglio: da lettrice avverto la questione della "voce" dello scrittore. Credo che quello che intendo con questa parola, sia abbastanza vicino a ciò che prospetta il manuale. Ovviamente avrò molto da scoprire e imparare!
    I 7 pilastri mi piacciono assai... *_*

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    1. Mi fa piacere che l'argomento ti interessi, quindi sarò molto contenta di soddisfare la tua curiosità. :)

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  4. Molto interessata e allineata, quindi non vedo l'ora

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  5. ahahah grazie per la citazione :D.

    Comunque per quel che riguarda i pilastri: semplicità è il mio pane; autenticità...beh nei miei scritti sono sempre io o comunque se non scrivo di momenti della mia vita, trovo sempre il collegamento di una data cosa con qualche momento della mia vita. Gli altri pilastri invece al momento mi sono sconosciuti: vedrò di che cosa si tratta.

    ps vai pure con il primo pilastro!

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    1. Credo che l'autenticità sarà il primo pilastro che affrontero', perché avevo già intenzione di parlarne prima della pausa estiva e prima di leggere il libro. Inoltre è possibile che lo divida in due parti, una dedicata alla scrittura e l'altra ai blogger. Il parlare di sé e della propria vita è una goccia nel mare, l'autenticità è molto, molto di più. :)

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  6. Ah, con me sfondi una porta aperta. Ho sempre pensato che la scrittura sia una questione di consapevolezza. In letteratura si può fare tutto, ma non per caso!
    Per quanto riguarda i pilastri, mi sa che il mio problema è un po' l'equilibrio. Tutto bene nelle storie brevi, così così nei romanzi.

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    1. D'accordissimo che non si debbano mai fare le cose per caso, ma la consapevolezza per me va oltre a questo, è un valore addirittura spirituale.

      Ti manca l'equilibrio? Ma dai, non l'avrei mai detto. Gli Arieti sono così equilibrati... ;)

      Scusa, ci scherzo un po'. Sarò molto contenta, quindi, che l'argomento ti interessi. Ti dedicherò il post. :)

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  7. La scrittura mi ha aiutato ad acquistare consapevolezza di me, della mia vita e della realtà in cui viviamo. Quindi seguirò i tuoi post con molto interesse.

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    1. Bene. :) questa è una forma di consapevolezza esterna. Poi ne esiste una più interna, relativa a cosa si scrive, come e perché si scrive. :)

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  8. Sottoscrivo cmpltmnt ma ora vediamo i tuoi primi passi letterari come si reggono su tutti questi pilastri. In realtà non ne capisco minimamente il significato se non del numero 'sette'. L'idea di non seguire schemi seduce , ma come auspicio mi sembra piuttosto gettonato. Nell'attesa di vedere un incipit degno delle premesse, ti inviterei a seguire l'ultimo post di Helgaldo, potrebbe interessarti lo sviluppo di una certa, spinosa faccenda sui self-publisher. Anzi te lo consiglio.

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    1. I miei "primi passi letterari" sono stati compiuti 10 anni fa. Qui si parla solo di legittimità della pubblicazione: gli altri ne hanno bisogno più di me.

      E poi: chi ha mai parlato di assenza di schemi? :)

      P.S. Ho già letto il post di Helgaldo. E commentato.

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    2. Primi passi sotto i nuovi auspici. Lo so che non sei una novellina. Il richiamo al post è collettivo, lo sai che sto cercando di far interagire questa vostra simpatica cricca di 'canaglie' ( ci son le virgolette , eh) e ti informo che son già venuti a galla ostacoli insormontabili e piccole ruggini. La mia invadenza è mirata soprattutto a capire chi siete , non prendertela se talvolta trascendo.

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  9. Arte e ricerca dell'evoluzione personale: ottimo connubio. Non si sa chi delle due arriva prima
    e se coesistono insieme.
    In ogni caso l'arte è far parlare un'anima anche se inquieta e in quel momento il censore che detta
    le regole letterarie per distinguersi dalla massa degli scribacchini deve tacere. Siamo su un altro piano in quel momento (salvo poi calarsi nella realtà in un momento successivo).
    I pilastri son tutti belli e anche connessi fra loro; ma forse l'intuizione è folgorante.

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    1. L'arte e l'evoluzione personale sono un tutt'uno, vanno di pari passo.
      Chi se ne dimentica semplicemente non è un artista. :)

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  10. Standing ovation 'Donna delle foreste'...clap! clap!
    Ricerca dell'evoluz personale in seno a una comunità, trattasi forse di cultura?

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    1. Ti invito a essere un po' più gentile con gli altri lettori.
      Sei troppo intelligente per cedere a queste trollate. ;)

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    2. 'Silvana' significa quello, è la prima volta che incontro qualcuno che si offende.
      Che dovrei dire io che derivo da 'fava'?. Un richiamo al significato di un nome proprio, dalle mie parti è indice di considerazione. Applaudo realmente a quanto scrive Silvana, le sono affine come indirizzo, se due battute bastano a sancirlo. Fra l'altro sai che arte ed evoluzione personale sono il solco del mio pensiero, mi sembrava chiaro.

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    3. Scusami Ab, non ho pensato a questo collegamento tra i nomi... ;)

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    4. Scusarti? Ma se mi hai trattato da dio. Forse non te ne sei accorta, ma il tuo altolà suonava proprio bene. Un complimento aperto e immeritato. Bontà tua. Non sono tanti i cafoni ad essere tollerati per intelligenza. Anche questa per me è una novità assoluta della rete dove di solito, a chi viene scambiato per troll non viene data una seconda opportunità. Ti ringrazio assai, altro che scuse, ma in tutta sincerità penso di esser stato sopravvalutato sia per trollaggine che per qualità superiori.
      Sì , però adesso tira un'occhiata, anche distratta, a quel pezzo sulla filiera del grano (che sarebbero i soldoni), se vuoi puoi rispondere per mail. Ci tengo davvero tanto al tuo parere e a quello di altri, eventualmente. Purtroppo di là, nonostante gli inviti dell'ammutolito H, nessuno ha controbattuto. Allora se la pensano tutti come me, pensano cioè che su quella strada non si possa pervenire a nulla, perché ci si affida a determinati espedienti? Mah! altro enigma della rete.

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  11. Ciao Chiara, bentornata. MI sento molto in sintonia con questa tua riflessione. Ultimamente sono molto infastidita dai continui rimandi alla tecnica come se il vissuto, il mondo interiore di chi scrive, non fosse altrettanto importante. Io scrivo proprio di questo, di contenuti. Per la tecnica ci sono i guru ;)
    A meno che non si parli di saggistica o giornalismo un autrice comunica se stessa, il mondo così come lo vede con i suoi occhi. Non sto sostenendo che possiamo sovvertire tutte le regole grammaticali a nostro piacimento. Come ogni gioco, anche questo si svolge secondo regole condivise. Ma non immutabili. Esiste la sperimentazione.
    Sono molto interessata al percorso che ci proponi e penso, per quanto mi riguarda, che la prossima volta tu possa cominciare dritta dritta con il primo dei pilastri...
    Grazie

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    1. Permettimi di dissentire Elena. La parola, e quindi la scrittura (ma anche il dna. La qabbala della tradizione rabbinica ci sottopone questa intima analogia fra cromosomi e lettere dell'alfab ebraico), è formata da una parte fissa e una cangiante, mutevole (da cui deriva la possib. di una sperimentazione, innovazione). La tecnica pone le invariabili (per Lakatos è il 'modello guida' di una teoria scientifica), tuttavia non tutta la tecnica proposta/imposta dall'accademia (che è conservativa) è votata al rinnovamento , naturalmente. L'innovazione allora, deriva da un continuo tira e molla , dal coraggio di chi si avventura nella sperimentazione, perché in anticipo sui tempi. Questo è il talento, mescolato però alla banalità di coloro che, con la scusa di rinnovare, sentendosi baciati dalla grazia divina, sparano emerite fesserie. Allora è nostro compito distinguere, dotarci cioè dei criteri giusti per discriminare correttamente fra talentuosi e superbi. Questa è la sfida che il futuro pone agli esordienti, capire come funziona il gioco o perire nell'oblio, proni ai dettami (criteri) posti dall'autorità.

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    2. La mia opinione in merito si colloca in una terra di mezzo tra le vostre. Penso infatti che , fermo restando l'esistenza dei paletti, il conservatorismo ottuso sia nemico della crescita e del progresso. Una lingua e una narrativa poco flessibili ai mutamenti sociali rischiano di essere fuorvianti e di non rappresentare la realtà come si vede. Lo vedo bene in ambito professionale, dove quotidianamente interagisco con individui che hanno messo la lingua italiana sotto una teca, e ignorano le evoluzioni avvenute negli ultimi anni, a partire dall'eliminazione delle "d" eufoniche e di un progressivo avvicinamento della lingua scritta al parlato quotidiano.

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    3. L 'avevo sospettato. La tua posizione è affine a quella di molti filosofi della scienza e, a mio modesto parere, anche piuttosto razionale.

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    4. @Ab11 permesso concesso. Ma dov'è il dissenso?

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    5. 'Per la tecnica ci sono i guru'
      questa frase mi aveva indotto a pensare in un tuo rifiuto categorico per la 'tecnica' dei sapienti. Ho letto meglio, in effetti non c'è dissenso.

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  12. "Se io pianificassi un romanzo intero e lo suddividessi in capitoli prima ancora di sedermi al pc, rischierei di non buttare giù nemmeno una riga."
    Mah, sai, persone diverse lavorano in modo diverso. Nel modo che hai descritto sopra i Pink Floyd hanno composto il brano A Saucerful of Secrets, che all'epoca era una roba parecchio rivoluzionaria.
    Io però non ho ben chiaro il significato del termine "olistico"!

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    1. "Persone diverse lavorano in modo diverso". Questo è proprio il principio alla base del mio post (a volte occorre leggere tra le righe) e il motivo tale per cui ritengo certe "ricette per il successo" pericolosissime ai fini della creatività individuale. Viviamo in una società che esalta la razionalità e il metodo, trasformando l'arte in ingegneria pura. Così facendo, chi ha un cervello percettivo, rischia di sentirsi tagliato fuori dai giochi e riceve inutili stoccate alla propria autostima. Nessuna regola ha un valore universale, secondo me. Come è impossibile imporre a tutti gli studenti un unico metodo di studio, così è inutile universalizzare l'approccio alla scrittura, perché si alimenta un ridicolo conformismo. Non è un caso che i libri pubblicati oggi si somiglino tutti, e che pochi contengano guizzi di creatività che ti fanno esclamare: "ah, però!"

      Per quanto concerne il significato di olistico, ti rimando qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Olismo

      Tale concetto è stato mutuato dalle scienze umane e, in modo assolutamente rivoluzionario, applicato all'attività di scrittura.

      Se ci sono altri dubbi chiedi pure. :)

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    2. Sì, esatto, è l'idea che tutti si debba lavorare allo stesso modo che è di fondo sbagliata. Proprio come il metodo di studio, hai fatto proprio l'esempio più calzante. Ciò che funziona per l'individuo A non è detto funzioni anche con B e viceversa. C'è chi è più razionale, chi è più istintivo, chi è più è emozionale, chi ha bisogno di progettare...
      Credo ora di aver capito che l'olismo è quello che in psicologia viene chiamata una gestalt.

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    3. Sì, vabbè. Poniamo il nostro caso: Come lavorare a un opera letteraria collettiva? I metodi sono diversi, così come gli stili e i linguaggi, Come possono tre autori abitare una medesima opera in un rapporto di co-autorialità pura? La mia è una domanda schietta priva di dietrologie o retorica.

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    4. In tre secondo me si è già in troppi. Già in due ci deve essere una bella chimica e i casi riusciti non sono poi molti (Fruttero/Lucentini, Ellery Queen, Lewis Padgett...). Anche solo in una round-robin, che è a turni, so per esperienza personale e per averne lette di grandi autori che non è semplice far collimare le varie anime. Penso che la scrittura non sia uno sport di squadra.

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    5. La scrittura a quattro mani funziona se i due autori riescono a trovare il giusto amalgama, al punto da non riuscire più a distinguere l'uno dall'altro. Esistono poi dei progetti di scrittura collettiva, ma in questi casi la condivisione avviene solo a livello del progetto di base, poi ciascuno mantiene la propria individualità. In fondo la scrittura è espressione del sé, quindi chi è dall'altra parte non deve soffocarlo, né nasconderlo. :)

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    6. 'La scrittura non è uno sport di squadra' - corretta deduzione' - la sottoscrivo per intero, ma c'è bisogno di una squadra affiatata per far si che sia 'buona'. Un buon libro è come un goal. L'asso indiscusso è quello che butta la palla dentro, ma senza gli altri compagni non può nulla.
      Se io, Chiara e Pinkopalla riconoscessimo nel libro di Lazzara un gran bel lavoro, ben superiore al nostro, dovremmo prodigarci per aiutarlo a promuoverlo ed eventualmente a fornirgli supporto tecnico. Il gioco di squadra prevede gerarchie, se ognuno crede di essere Gigi Riva la squadra va a puttane ed ogni componente perde.
      Il primo passo degli autori esordienti dev'essere quello di confrontarsi e imparare dal lavoro collettivo sul solco delle avanguardie artstch ( impressionismo , espressionismo tedesco, cubismo , surrealismo ,dadaismo , futurismo). Solo al giorno d'oggi gli autori credono di poter fare tutto da soli, come se la letteratura fosse un 'gratta e vinci' e il successo dipendesse esclusivamente da una botta di culo. Per me lavoro collettivo è collaborare ad uno stesso scopo, non scrivere a quattro sei o otto mani con tastiera biturbo trazione integrale. Ma posso sbagliarmi

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    7. Voi avete evidenziato due diverse forme di lavoro in team. La prima, quella che riguarda l'atto della scrittura, è possibile solo se le voci sono concordi. La seconda avviene più sul piano promozionale e relazionale che su quello creativo. Non solo è più realizzabile, ma è anche coerente con la mia visione della scrittura, che non è competitiva e concorrenziale. Al riguardo c'è un post che attende da anni di essere scritto. Magari chissà, potrei decidermi a farlo.

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  13. @Chiara, tenevo parecchio a un tuo/vostro parere sul commento del 03 settembre titolato 'La filiera del grano' pubblicato da H. qui :
    https://dadovestoscrivendo.wordpress.com/2017/09/03/laltro-hashtag/

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    1. Appena mi sarà possibile lo farò. :)

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    2. Ho letto. A quale commento ti riferisci?

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    3. @Chiara, rispondo a due tue domande. Perdona la ridondanza ma non ho trovato altro modo per limitare l'aggressività del tuo captcha.
      Anzitutto non ritengo che il lavoro collettivo sia limitato alla promozione. Non credo che un'opera sia il frutto di una sola mente ma di più estri creativi, in gerarchia fra loro. Sposo il concetto di 'sattvico' che proviene dalla tradizione vedico-induista e che intuisco conosca benissimo. Si tratta di capire i propri limiti ed aprirsi a una collaboraz. migliorativa. Poi se uno è convinto di esser già perfetto così com'è ...i miei auguri.

      Ti riporto l'integrale del commento titolato 'La filiera del grano'. Le reazioni mi hanno riservato per lo più indifferenza e qualche appellativo ruvido: 'detrattore accanito' , ' tipo dalle idee troppo chiare' e per questo poco condivisibili (implicito). Da parte mia replico con assenza totale di proposte dei commentatori. Sorprendentemente ho individuato nel blog di S.Anfuso precise analogie con questa motivata sfiducia. Ecco un altro esempio, dopo M.Lazzara, che gratifica il mio nick, cioè l'abilità di trovare ambienti dove l'importanza di un blog viene ridimensionata al punto da optare per la chiusura definitiva per dedicarsi ad attività concrete, meglio se ispirate alla relazione fisica col prossimo ( ma anche la dedizione a un libro va benissimo). La posizione senza indugi del giovane ex-blogger rispetto all'utilità promozionale di un blog o dei social, rafforza la mia convinzione. ma veniamo al dunque che tratta proprio questo tema, l'inutilità di fare promozione attraverso la rete

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  14. La filiera del grano

    I self-publisher di successo non esistono!
    In nessun campo artistico chi si autoproduce ottiene fama e riconoscimenti, non facciamoci illusioni. Bisogna trovare qualcuno che dal tuo successo preveda di trarre lauti e immeritati guadagni. Galantuomini di questa stoffa vengono comunemente chiamati imprenditori dell’editoria e senza la possibilità di un facile guadagno a rischi zero, difficilmente si convincerebbero a muovere un dito per qualcuno, figuriamoci per un artista con le toppe al culo. Ma è attraverso le dinamiche del mercato finanziario dell’arte che si possono intuire molti aspetti di quella che – per me – è il frutto di un abbaglio collettivo perfettamente funzionale a un non meno collettivo inganno. Gli esempi degli ‘self pubblisher’ di successo li conosco, li conosciamo tutti a sufficienza, ma non c’è bisogno di ricordarli ancora, ma per chi non ne avesse avuto memoria rammento i casi dello spagnolo Eloy Moreno e Amanda Hocking , ‘The writer who made millions by self-publishing on-line’
    Ma come funziona domando, la promozione per un self publisher? Come si costruiscono i successi su social?

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    1. continua dal preced. -

      Un blogger che ha dedicato molto spazio a queste tematiche, si chiama Lucio Angelini ,traduttore di successo di oltre cento testi per Einaudi Mondadori e quant’ altro (riferimenti su suo archivio ‘cazzeggi letterari best off’ ). Lucio presentò, qualche anno fa, un post dal titolo ‘Balla Moreno’ (e uno sulla Hocking), fenomeno emblematico in cui si parla di un successo letterario on-Line, uno dei fenomeni che dopo aver ‘fatto scalpore’ oltreoceano si preparava a sbarcare nel Vecchio Continente con l’intento o la speranza di incoraggiare fenomeni emulativi. Ho provato ad analizzare questi casi individuandone alcune ricorrenze.

      Primo passo: un editore di fama lo ‘nota’ (ma potrebbero benissimo esser stati amici di merende) e acquista occultatamene 100.000 copie di e-book al costo (di favore obbligato) di 1 $ a copia. Totale spesa = percentuale di 100.000 $ , concordata con l’autore. Solo questo motivo basta e avanza per far sì che il caso diventi velocemente notizia. I media pompano gloria a palate sullo scrittore esordiente che ha avuto bravura e coraggio di rivolgersi alla rete. Pompano e pompano come sentine (ma talvolta bastano i quotidiani e opportune trasmissioni radiofoniche) titoli altisonanti: Autore di successo , vende 100.000 copie on line (tutto registrato al fisco, non si tratta di fake).

      Secondo passo: Il grosso del pubblico sente più volte la notizia, l’acquisisce dalle sue fonti preferite, si guarda bene dall’ inficiarne l’autenticità, quindi benedice la cultura , benedice i miracoli della rete e si precipita alla cassa. Sborsa così un prezzo che, rispetto all’e-book di partenza, ritorna più che decuplicato nelle tasche dell’editore e così, con soli cinquemila acquirenti, questi, che nel frattempo si è premurato di stampare le sue buone copie cartacee al costo di 15 $ l’una, copre rapidamente e spese e si prepara all’abbondanza di un raccolto faraonico che non si vedeva da tempi delle vacche grasse di biblica memoria, dacché la madre dei fessi non conosce sterilità e di quelli, i fessi, abbisognano i ‘buoni affari’ a qualunque latitudine. In Italia una campagna di propaganda architettata a dovere può tranquillamente contare, disponendo dei diritti su certi autori, numeri che superano in tutta tranquillità le 100.000 copie.) Et voilà, il banchetto è servito!
      Nel campo dell’arte le cose non si svolgono diversamente e fruttano a magnati accorti e ai loro soci (musei, accademie, media) malloppi da brivido, cioè cifre da capogiro, col magnate lungimirante nei panni dell’editore intento a razziare tutte le opere di un autore sconosciuto* e noi, eterni faciloni sperduti nel campo dei miracoli, nella parte dei babbei che attendono buoni buoni di veder maturare gli investimenti pilotati, di questa cricca di truffatori da operetta. Per farla breve, una volta che il ‘genio’ compare sui telegiornali e le sue schifezze seguono il giro delle esposizioni che contano (a questo servono le accademie) il magnate apre il suo caveau e si prepara ad intascare i frutti del suo ricco investimento, senza aver messo a rischio un solo obolo. Chiamalo scemo ! Un esempio recente riguarda il percorso artistico di un tal Christo (leggi Cristò) artista americano di origini bulgare. Ricordiamo tutti la sua sudicia passerella arancione sospesa sulle acque del lago d’Iseo. (come dimenticarla? ci fecero due palle così)? Studiate bene un po’ il caso e valutate con attenzione i tempi e le sinergie; ebbene, con pochi spiccioli e una bozza a matita della progettazione di quella installazione, cioè un pezzetto di carta malamente scarabocchiato, avreste avuto la possibilità di ritrovarvi in saccoccia cifre e quattro zeri. Ma una simile opportunità non è e non sarà mai prerogativa di un self publisher. Oh, pardon, volevo dire: di un ‘autoeditore’. Un nome che c’azzecca proprio a puntino, a volersi conciliare col pensiero di Helgaldo e con le colorite espressioni del celeberrimo magistrato molisano. fine

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  15. Non che sia importante quello che penso e ch dico io, ma arrivato alla mia età mi sono convinto che il "metodo" da me scelto per scrivere quel che mi pare, cioè la totale assenza di qualsiasi metodo, sia il migliore che io possa applicare alla mia mania di scrivere, come pure, per altri versi, alla mia mania di dipingere, in parole tanto povere da essere pezzenti, alla mia mania di creare.
    Non leggerò mai un testo che cerchi di convincermi che si scive così e non così. Me ne frego. Io compero una risma di carta, strappo l'involucro esterno, cambio la mina alla mia vecchia Parker e attacco a scivere come viene, quello che viene, cercando soprattutto un buon incipit. La storia viene da sé. Basta che mi guardi indietro, ai miei tantissimi incontri, alle mie tantissime fantasie incontrate per strada, ancora avviluppate a sogni e vecchie idee, prima o poi un incipit arriva, solitamente dopo un paio di ore o di tentativi se sono in forma. Le parole non si buttano, quelle che escono mentre cerchi la tua storia, che è dentro di te, come il tuo quadro è dentro la tua tela,
    poi vado avanti finché arrivo alla fine. Già, la fine. Quando è che un romanzo è finito?Quando senti che è arrivato il momento di smettere perché non hai più niente da aggiungere ma solo devi togliere gli eccessi senza pietà. Tale e quale ad un quadro, anche se metà della tela è rimasta intonsa, così se il tuo o la tua protagonista sta ancora in mezzo al guado, non ha vinto e non è morta e nessuno lo sa, ma la storia è conclusa, è uscita tutta dalla tua risma iniziale, ci metti il punto e la data, e amen.
    Se un editore la legge e la pubblica sta storia molto bene, se no, buona notte.
    Aiutare la storia ad emergere dall'anonimato va bene, ma niente eccessi, niente soldini anticipati per vedere una copertina col tuo nome stampato sopra e mettertela nella tua libreria da mostrare agli amici. Stronzate indegne. Al massimo tradurla e presentarla ad un editore tedesco, visto che abito qui oramai da una vita.
    Questo è quanto. Mai lasciarsi spaccare il cranio dal problema della pubblicazione, mai.
    Tutte le teorie sono belle (?) chiacchiere che lasciano il tempo che trovano.

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    1. Ormai conosco il tuo non-metodo (che come ho scritto altre volte è molto simile al mio) perché ne parli ogni volta che commenti. Lo rispetto, lo apprezzo, ne condivido i principi. Ciò nonostante ritengo sia importante essere consapevoli del proprio fare. Da qui si estrinseca la mia volontà osservatrice, la necessità di vedere la scrittura dall'esterno per comprenderne le dinamiche, e aiutare gli altri scrittori a ritrovare dentro sé la stessa luce, la stessa vita. Se non ci fosse un intento umano, il mio lavoro non avrebbe senso.

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    2. Tutto vero. La consapevolezza. Ovvio che tu scrittore debba sapere dove vai a parare. La scrittura guardata dall'esterno e le sue dinamiche, ma è dall'interno che nasce, da altre dinamiche. Tutto vero. Tutto commestibile. Ma alla base di tutto c'è secondo me una conditio sine qua non. Mettiamola così carissima Chiara, che in questo caso è proprio il nome adatto, quindi mettiamola giù chiara: se sai scrivere -ottemperando a tutti quei principi sacrosanti cui facevi riferimento nel tuo post- riuscirai sempre ad afferrare l'attenzione del tuo lettore anche senza - e direi soprattutto senza a tutela della tua originalità- aver frequentato corsi di scrittura. Sei tu che scrivi, è il tuo ingegno che ti guida, pertanto otterrai ottimi risultati. Se non sai scrivere, se non sei uno scrittore puoi consultare un'intera biblioteca di testi più o meno validi che pretenderanno di insegnarti tutto e più di tutto ma tu riuscirai solamente a scrivere immani polpettoni.
      Non pretendo di avere ragione, mi fido del mio I.Q. che mi suggerisce socraticamente che la mia unica certezza è la mia profonda ignoranza. Alla prossima, Chiara.

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    3. Caro Vincenzo, mi spiace davvero che tu abbia perso tutto questo tempo a cercare di convincermi su un concetto con il quale sono d'accordo da tempo. E ti dirò di più: è proprio per contestare le regole di scrittura fatte cadere dall'altro che ho deciso di scrivere questa serie di post, che con le regole non c'entrano nulla. Al contrario, vogliono portare lo scrittore a liberarsi dei precetti e a far rifiorire la propria dignità artistica, al di fuori da ogni condizionamento mentale. Il principio alla base dello zen, in fondo, è proprio questo. :)

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  16. I pilastri che citi mi interessano tutti; se anche li sento in me, di sicuro svilupparli non può che farmi bene. Sul discorso delle regole e degli schemi proposti dai maestri di scrittura creativa, mi trovo sempre un po' stranita nel notare che proprio io, dopo decine di manuali letti, non ho mai avuto verso gli insegnamenti le aspettative che mi sembra di intravedere nel tuo bisogno di cestinarli. Come sarebbe possibile imparare a scrivere bene sull'esclusiva base dello studio? Allora potremmo diventare tutti grandi scrittori (a parte gli asini che non vogliono studiare, s'intende ;)). Se ci si interessa agli insegnamenti di chi si è reso disponibile a condividere le proprie scoperte, è solo perché possono servire come base per trovare un modo di scrivere personale. Un po' come se non si volesse ripartire dalla scoperta del fuoco dopo che gli altri lo usano da millenni, insomma. Se ti fermi alle "regole" (che qualunque buon testo sottolinea non essere tali) sei un bambino che gioca con i Lego, niente di più. Per inciso, gli errori di punto di vista sono pessimi! Mia opinione, eh...

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    1. Grazia, non voglio essere fraintesa. Io non cestino nulla. Come sai ho letto tanti manuali, io stessa ho scritto post tecnici. Tutte queste regole da un lato mi hanno aiutato, ma dall'altro mi hanno portato a mettere in secondo piano il valore spirituale della scrittura, quel fuoco che mi ha sempre tenuto incollata alle pagine. Le regole secondo me devono essere uno strumento al servizio dell'arte, per valorizzare ciò che si scrive, e non quello che i buddhisti definirebbero "honzon", un oggetto di culto. Quelli che si bullano di aver scritto un buon libro perché hanno applicato tutte le tappe del viaggio dell'eroe mi ricordano quelli che a scuola imparavano i testi a memoria, e se il prof usciva dal seminato andavano nel pallone.

      Sai, Grazia, alla fine si tratta di fasi. Io prima avevo la necessità di imparare le regole, ora ho quella di applicarle senza sforzo mentale per concentrarmi sulla creazione. Tra tre mesi, chi lo sa. :)

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    2. E' proprio così: bisogna capire quando è il momento di cosa, in modo del tutto personale. Non mi è mai capitato di conoscere persone che si sentono dei pezzi da novanta perché hanno applicato tutte le regole dei manuali, ma se ne conoscessi, anch'io troverei la cosa assurda. :)

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    3. Una la conosci anche tu. Seppur non sia così estrema, diciamo che ha avuto un ruolo fondamentale nel mio cambio di approccio. È un uomo. Se vuoi che ti racconti la storia, meglio in privato. ;)

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  17. Mi sa che questo devo inserirlo nella mia lista, anche se ultimamente scrivo poco e leggo ancora meno. Ma lo faccio con costanza però :)

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    1. I consigli che dà, secondo me, sono utili a prescindere dalla scrittura. :)

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